La Malattia

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La diagnosi di SLA è difficile: richiede diverse indagini mediche e la valutazione clinica ripetuta nel tempo da parte di un neurologo esperto. Non esiste, infatti, un esame specifico che consenta di accertare immediatamente e senza alcun dubbio la malattia. Compito del medico di famiglia è, quindi, quello di sospettare la SLA fin dai primi sintomi e di indirizzare subito il paziente al neurologo. Spesso, al termine degli esami iniziali (Tabella 1) sarà possibile solo formulare una diagnosi provvisoria: saranno state escluse alcune patologie, ma per giungere al responso definitivo occorrerà aspettare e valutare l’andamento della malattia nel tempo (Tabella 2).

L’incertezza, quindi, potrebbe protrarsi anche per diversi mesi, con conseguenze pesanti sullo stato d’animo del malato.

Se la diagnosi fosse incerta o provvisoria, chiedere nel frattempo al proprio neurologo di indicare un collega esperto di SLA cui rivolgersi con la documentazione clinica per avere un secondo parere.
Un rapporto medico-paziente basato su fiducia reciproca e sincerità nella comunicazione è la miglior arma per affrontare il momento della diagnosi. Se questo rapporto non esiste, o è troppo fragile per sopportare l’angoscia legata a una prognosi grave, la diagnosi non è comunicata al malato bensì ai suoi familiari, che ricevono la pesante responsabilità di accompagnarlo nella conoscenza di una malattia misteriosa e senza nome

La progressione della malattia

La SLA in genere progredisce lentamente e, se ben curata, consente una qualità di vita accettabile. La gravità può variare molto da un paziente all’altro, perché diversi possono essere i muscoli colpiti, la velocità del peggioramento e l’entità della paralisi. Nel singolo malato l’evoluzione può essere valutata solo attraverso il controllo neurologico periodico (ogni 2-3 mesi). È comunque necessario essere molto cauti nelle previsioni. In genere si osserva una progressiva perdita delle capacità di movimento, che può arrivare alla completa immobilità. Anche la masticazione, la deglutizione e la capacità di parlare possono essere compromesse. Gradualmente si manifesta nel soggetto la paralisi respiratoria, cui si può ovviare solo ricorrendo alla ventilazione meccanica. Anche nelle fasi più avanzate la malattia colpisce soltanto il sistema motorio e risparmia tutte le altre funzioni neurologiche.

La SLA non compromette gli organi interni (il cuore, il fegato, i reni) né i cinque sensi (vista, udito, olfatto, gusto, tatto). Sono raramente toccati i muscoli che controllano i movimenti oculari e quelli degli sfinteri esterni che trattengono le feci nell’intestino e le urine nella vescica. Il pensiero, le attività mentali e le funzioni genitali sono preservati.

VIVERE CON LA SLA

La SLA è una malattia cronica che modifica profondamente la vita. Chi ne è colpito non potrà fronteggiarla da solo: avrà bisogno degli altri per muoversi, per mangiare, per comunicare, per respirare. Normalmente questi bisogni primari non pesano sulla relazione tra persone adulte, sane e indipendenti.

La SLA, però, comporta un cambiamento: la famiglia, gli amici, i colleghi, i medici, lo psicologo, gli infermieri, il personale d’assistenza possono diventare risorse preziose per aiutare chi ne è colpito a superare gli ostacoli che la malattia comporta. Insieme agli altri gli sarà più facile trovare le cure e gli ausili capaci di ridurre i sintomi e di fargli conservare la maggior autonomia possibile. Purtroppo, nel nostro Paese l’offerta di cure appropriate è ancora largamente insufficiente: i pazienti con SLA che riescono a usufruirne sono infatti una minoranza.

Troppo spesso, dopo la diagnosi, prevale un clima di sfiduciato disimpegno e di rinuncia terapeutica. I pazienti e i loro familiari sono poco e male informati; non conoscendo la malattia non possono, quindi, contrastarne gli effetti negativi. Alcuni medici, che pure conoscono la SLA, sembrano ignorare l’esistenza di concrete possibilità di cura.

D’altra parte va detto che intervenire in modo appropriato e tempestivo è molto difficile: non basta la buona volontà. Sono necessarie competenze specifiche e diverse che solo un gruppo di lavoro può garantire. L’équipe può essere costituita dal medico di base, dal neurologo e dal personale d’assistenza, o arrivare a comprendere neurologo, neurofisiologo, fisiatra, pneumologo, rianimatore, gastroenterologo, psicologo, dietista, ortofonista, fisioterapista, fisioterapista esperto in ausili, infermieri particolarmente formati, assistente sociale.

Gli interventi dei vari specialisti dovrebbero comunque essere coordinati da un unico medico curante (in genere il medico di base o il neurologo) e il paziente dovrebbe (come nel caso di tutte le malattie croniche) poter essere assistito presso la propria abitazione. In Italia gruppi di lavoro di questo tipo sono purtroppo rari. Il loro esempio dimostra, tuttavia, che è possibile agire sulla malattia e migliorare la qualità di vita di chi ne è colpito e dei suoi familiari.

Quanto accennato richiede progetti finalizzati a rimuovere ostacoli culturali e strutturali quali la separazione tra servizi ospedalieri e servizi per le cure domiciliari o la tendenza a inseguire risposte miracolose lontano da casa. In ogni caso, una maggiore conoscenza della SLA e delle sue problematiche socio- assistenziali rappresenta il primo passo per tutelare il diritto alla cura del malato. Come pubblicato sul Supplemento ordinario alla “Gazzetta Ufficiale” n. 226 del 25/9/1999, “i soggetti affetti da pluripatologie che abbiano determinato grave e irreversibile compromissione di più organi e apparati”, tra cui rientrano i pazienti con SLA (gruppo riconosciuto con cod. 049), sono esenti dal pagamento del ticket. Inoltre, i malati di SLA possono ottenere dal Centro di riferimento l’esenzione per malattia rara con codice RF0100, che dà diritto a una serie di agevolazioni sugli ausili (per esempio carrozzine, comunicatori, modifiche dell’ambiente domestico) e alla rimborsabilità di farmaci anche normalmente non mutuabili perchè prescritti con piano terapeutico da un Centro SLA accreditato.

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